Se oggi, 7 miliardi di esseri viventi, sparissimo per un evento imprevedibile o per un cataclisma come il "fantomatico 2012" , tra 10′000 anni di noi non ci sarebbe più alcuna traccia della nostra tecnologica e avanzata civiltà.
Non è il migliore dei pensieri, anzi è terrificante. Ma è quello che l’americano Alan Weisman, reporter scientifico e professore all’Università dell’Arizona, propone nel suo libro catastrofico e serissimo – «The Earth Without Us». A prescindere da che cosa ci potrebbe spazzare via (un secondo diluvio o una pandemia), la cosa che trovo sia intrigante sono le conseguenze della fragilità della nostra civiltà. Ecco cosa succederebbe se la stragrande maggioranza degli esseri umani scomparirebbe, partendo proprio dalla capitale-simbolo della nostra specie, New York. Pochi giorni, appena, e la rete sotterranea della metropolitana, non più controllata dai sistemi di pompaggio, si sfascia sotto la tempesta di un immenso allagamento. Incredibile? In un normale giorno di sole, i tecnici devono estrarre oltre 45 milioni di litri d’acqua provenienti dalle sorgenti sotterranee dell’antica isola di Manhattan. Nel frattempo i sistemi energetici collassano e già in un paio di decenni strade ed edifici cominceranno a sgretolarsi. I cicli delle stagioni, piogge e neve e le aggressioni della flora aprono crepe e squarci, inducono crolli, scardinano strutture.
Pochi sanno che un grattacielo – se mantenuto in perfetta efficienza – è progettato per durare non più di 60 anni e un ponte non oltre 120. Per vedere come apparirebbe il mondo basta vagare negli ultimi luoghi selvaggi. Per esempio tra Polonia e Bielorussia, dove sopravvive un frammento della foresta primigenia, oppure nella zona smilitarizzata tra le Coree, dove anche là piante e animali prosperano tra i cannoni.
Senza dimenticare i parchi nazionali africani, frementi per l’energia di una natura invincibile. Mettendo insieme scene diverse e interrogando studiosi di tante discipline, dagli ecologi agli ingegneri, Weisman prevede per esempio che il Nord America ridiventi «il regno dei cervi giganti». La prova dell’aggressività della vita è intorno a Cernobyl: abbandonata 20 anni fa dopo il disastro alla centrale nucleare, scarafaggi, topi e cani hanno compiuto uno spettacolare ritorno nella città fantasma di Pripyat.
Quindi, trascorsi solo 10′000 anni, non ci sarebbe più alcuna traccia della nostra tecnologica e avanzata civiltà. Per contro, con ogni probabilità, saranno ancora in piedi le piramidi di Giza, la Sfinge, Baalbeck, Tihauanaco e altre strutture di dubbia origine ma di grande resistenza e perennità.
I sopravvissuti, i nostri posteri, probabilmente si ritroverebbero nella stessa situazione in cui versavano i nostri avi del neolitico. Ripercorrendo i passi della nostra storia, dopo ulteriori 5′000 anni, quando l’uomo avrà ricominciato ad acquisire i rudimenti scientifici e tecnologici, potrà succedere che riuscirà a penetrare all’interno della Grande Piramide e scoprirà, inciso al suo interno, il nome di un certo Napoleone, al quale sarà attribuita la paternità della grande piramide.
Un po’ come hanno fatto i nostri archeologi, i quali attribuirono la paternità della Grande Piramide al Faraone Cheope solo sulla base di alcune iscrizioni scoperte al suo interno.
Se ci si basa solo sull’assenza di resti, segni o oggetti quale prova per escludere la presenza sulla terra di una civiltà aliena in un remoto passato, potremmo sicuramente venirne fuorviati e, in ogni caso, non sarebbe una prova rilevante.
Anche perché, oggi, nel mondo scientifico non c’è ancora unanimità sui veri costruttori, sulle date di costruzione e sui veri scopi delle piramidi di Giza, della Sfinge, del complesso di Baalbeck, di Tihauanaco e di altre enigmatiche strutture che sono in piedi ancora oggi alla faccia del nostro decantato ingegno tecnologico.