Per la prima volta la sonda IBEX ha rilevato delle particelle provenienti da oltre i confini del nostro Sistema Solare
Per la prima volta, una sonda della NASA ha osservato direttamente delle particelle "aliene" provenienti da aldilà del nostro sistema solare. La scoperta non solo ci fa intravedere cosa c'è nel cosiddetto mezzo interstellare - o ISM, la materia fra le stelle - ma ci offre degli indizi sull'anatomia dei nostri vicini galattici. Orbitando attorno alla Terra a circa 322.000 chilometri di distanza, la navicella Interstellar Boundary Explorer (IBEX) è stata in grado di intercettare campioni di idrogeno, ossigeno e neon provenienti dallo spazio interstellare.
"È elettrizzante poter disporre di queste prime osservazioni di materia aliena - materiale che non proviene dal nostro Sole o da pianeti, ma che arriva da oltre i confini del nostro Sistema Solare, da altre regioni della galassia", ha detto David McComas, team leader per il programma IBEX, durante la conferenza stampa tenuta dalla NASA.
"Pensiamo che si tratti di misurazioni davvero importanti, perché questi elementi sono i materiali di costruzione fondamentali delle stelle, dei pianeti, degli esseri viventi". La scoperta di IBEX è una "buca al primo colpo da 24 miliardi di chilometri"
Fin dal suo lancio, avvenuto nell'ottobre del 2008, la sonda IBEX continua a mappare i confini del Sistema Solare, la cosiddetta eliosfera. Questa "bolla" nella galassia della Via Lattea è creata dal vento solare, che è il flusso di particelle cariche costantemente emesso dal Sole in tutte le direzioni.
Il margine della eliosfera si trova, rispetto a noi, a circa un centinaio di volte la distanza che separa la Terra dal Sole, e protegge il Sistema Solare interno dalle devastanti radiazioni cosmiche. Questo perché l'eliosfera e il campo magnetico ad essa associato allontana le particelle cariche dannose.
Queste particelle - resti di supernove che si sono disperse attraverso lo spazio interstellare - viaggiano verso di noi a circa 80.000 chilometri l'ora. Ma metà delle particelle nel vento interstellare sono neutre, e questo tipo di atomi non carichi può riuscire a entrare nel nostro Sistema Solare.
Alcune di queste particelle sono riuscite ad arrivare in prossimità della Tera, dove sono state individuate da IBEX, spiega McComas: "È stato come fare buca in uno da 24 miliardi di chilometri".
Il Sistema Solare è ricco di ossigeno - Un'analisi dei nuovi dati raccolti da IBEX ha messo a confronto il rapporto fra ossigeno e neon provenienti dallo spazio interstellare con quello fra gli stessi atomi ma originari nel nostro Sistema Solare. Il risultato indica che quest'ultimo sembra contenere una maggior quantità di ossigeno rispetto allo spazio interstellare circostante. Ciò potrebbe significare che il nostro Sistema solare sia migrato nella sua posizione attuale da un ambiente più ricco di ossigeno. O è possibile che una grande quantità di ossigeno sia intrappolata all'interno di granelli di polveri e ghiaccio nel mezzo interstellare.
IBEX inoltre ha misurato la velocità del vento interstellare, rivelando che si muove circa 11.000 chilometri l'ora meno di quanto rilevato in precedenza. Combinando questi dati con quelli rilevati in precedenza delle più vicine nubi interstellari gli studiosi sono stati in grado di definire con maggior precisione la nostra posizione nel locale vicinato galattico. Il nostro Sistema Solare sembra situato al margine di una delle varie rarefatte nubi interstellari che si muovono attraverso questa regione della galassia, nube da cui, nelle prossime migliaia di anni, potremmo uscire, indicano i dati.
"È davvero elettrizzante sapere dove si trova il nostro Sole rispetto alle nubi locali. Questa scoperta inserisce realmente la nostra stella nel contesto. La nostra posizione all'interno della nostra nube interstellare è importante per capire come proteggerci dai devastanti raggi cosmici". dice l'astronomo Seth Redfield della Wesleyan University di Middletown, Connecticut, che lavora la progetto IBEX.
I nuovi risultati della sonda IBEX sono pubblicati nel numero di febbraio della rivista Astrophysical Journal Supplements.
Tratto da: NationalGeographic