Il team di ricercatori del progetto ICE-FIRST, ha scoperto come potrebbe aumentare la durata della vita viaggiando nello Spazio. E questo grazie al verme più studiato al mondo, il nematode Caenorhabditis elegans.

Viaggioscienza

La microgravità nella quale i cosmonauti devono vivere per tutto il tempo della missione, li costringe a far fronte a problematiche non indifferenti riguardo alla salute una volta rientrati sulla Terra.
Fluttuando per la maggior parte del tempo, gli arti inferiori esercitano una limitata compressione muscolare, non sostengono il peso del corpo, causando di conseguenza una diminuzione della massa muscolare, come pure del tessuto osseo.
Un team di ricercatori facenti parte del progetto ICE-FIRST, provenienti da Francia, Giappone, Canada, Inghilterra e America e capitanato dallo scienziato Nathaniel Szewczyk dell' università di Nottingham, hanno svolto una ricerca con un'interessante scoperta, pubblicata poi su Scientific Report .
La ricerca in questione dimostrerebbe che viaggiare nello Spazio allunga la vita, o forse sarebbe meglio dire che rallenta il processo di invecchiamento.
La scoperta é stata fatta studiando dei vermi mandati nello spazio per 11 giorni, trascorsi nella Stazione Spaziale Internazionale (ISS), in occasione della missione olandese Delta del 19 aprile 2004.
Seguirono poi altri cinque voli con lo stesso scopo di studio e cioè studiare l'effetto della microgravità sulla fisiologia del corpo umano.
I vermi studiati sono i nematodi Caenorhabditis elegans (C. elegans), i quali subiscono una perdita della massa muscolare nello stesso modo in cui la subiscono gli astronauti.
Moltissimi dei loro geni eseguono le stesse funzioni di quelli negli esseri umani.
2000 di questi geni hanno un ruolo nel favorire la funzione muscolare e tra il 50 e il 60% di essi possiedono equivalenti umani evidenti e sono in grado di vivere e riprodursi nello spazio per almeno 6 mesi.

Inoltre nel 2003 i vermi C.elegans, facenti sempre parte del gruppo di ricerca di Szewczyk, sopravvissero al disastro dello Space Shuttle Columbia. Vennero ritrovati alcune settimane dopo incolumi, ancora nelle loro lastre di Petri.

Confrontando i vermi cosmonauti con quelli rimasti sulla Terra, é emerso che c'é stata un' inibizione dell'accumulo delle proteine tossiche che normalmente si depositano quando i muscoli invecchiano.
Gli scienziati presumono che i geni mutino a seconda dei segnali che il verme invia loro a causa del nuovo ambiente in cui si trova e all' adattamento in questo ambiente.
"Abbiamo identificato sette geni che subivano una sottoregolazione nello Spazio e la cui inattivazione aumentava la durata della vita in condizioni di laboratorio," commenta Szewczyk "uno dei geni che abbiamo identificato codifica l'insulina che, a causa del diabete, é risaputo essere associata al controllo metabolico. Nei vermi, nelle mosche e nei topi l'insulina é anche associata con la modulazione della durata della vita."
Ma tutto questo cosa comporta per gli astronauti?
Szewczyk conclude rispondendo "La maggior parte di noi sa che i muscoli tendono a ridursi nello spazi. Questi ultimi risultati suggeriscono che si tratti quasi certamente di una risposta adattiva e non di una patologica.
Contrariamente alle aspettative, i muscoli nello spazio potrebbero invecchiare meglio che non sulla Terra.
Forse il volo spaziale potrebbe anche rallentare il processo di invecchiamento."

 

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