Gli scienziati che lavorano alla fusione nucleare stanno facendo passi da gigante e si pongono un ambizioso traguardo: dimostrare entro il 2026 che i processi energetici del sole e delle stelle potranno essere utilizzati sulla terra per compensare la crescente domanda di energia elettrica.


Le tappe per raggiungerlo, ci vengono illustrati dal professor Francesco Romanelli,  direttore dell’European Fusion Development Agreement (EFDA), il programma che coordina i laboratori europei impegnati in studi teorici e sperimentali sulla fusione nucleare. Romanelli, dirige la maggiore macchina per esperimenti sulla fusione, collocata a Culham, in Inghilterra. «Ce la stiamo mettendo tutta per accelerare i nostri programmi e consegnare al mondo entro una decina di anni ITER, il reattore che dovrà dimostrare la fattibilità scientifica della fusione nucleare, aprendo la strada ad altri impianti che sfrutteranno la stessa tecnologia per produrre energia elettrica da immettere nella rete» - annuncia Romanelli.


Modello dell'ITER. Notare le dimensioni del toroide paragonate a quelle del tecnico in tuta bianca in basso a destra. La costruzione di ITER  è già iniziata a Cadarache, in Francia, è un progetto internazionale sottoscritto da Europa, Stati Uniti, Cina, Russia, India, Giappone e Corea del Sud. Ricordiamo che in questo anno  vi è stata una pausa  obbligata a causa dei costi di realizzazione che sono lievitati, passando da 5 a 10 miliardi di euro, di cui circa la metà a carico dell’Europa (e circa 600 milioni in capo all’Italia), i promotori si sono impegnati a superare gli indugi e ad andare avanti con maggior lena, nella speranza di fornire entro questo secolo un valida soluzione dei problemi energetici planetari, con una fonte di energia praticamente illimitata e relativamente pulita.


La fusione sfrutta l’enorme energia che si libera quando nuclei di atomi leggerissimi come il deuterio e il trizio, sottoposti ad elevate temperature, fondono. Il processo non produce rifiuti radioattivi di lunghissima vita (decine di migliaia di anni) tipici degli attuali reattori a fissione nucleare. ITER  si basa sul cosiddetto, «confinamento magnetico» già sperimentato da diverse macchine di piccole e medie dimensioni in vari Paesi, fra cui l’Italia. Una miscela di deuterio e trizio, destinata a essere riscaldata fino a diventare un «plasma» a 100 milioni di gradi, è incanalata in una camera di acciaio a forma di ciambella, del diametro di circa sei metri . Poiché nessun contenitore metallico potrebbe resistere, il plasma è tenuto sospeso e stretto in un intenso campo magnetico, generato da potenti bobine, in modo da minimizzare il contatto con le pareti della ciambella.


Romanelli ottimista prosegue: «Il reattore ITER dovrebbe essere completato entro il 2019, quindi iniziare a funzionare, per alcuni anni, con il solo idrogeno, però senza produrre energia di fusione. Nel 2026 sarà introdotta la più efficiente miscela di deuterio-trizio e, l’anno dopo, dovrebbe essere raggiunto il fondamentale traguardo di ottenere 500 megawatt di potenza, cioè dieci volte più energia di quella impiegata per sostenere il processo di fusione che si auto sostiene».


Romanelli è sicuro che è solo questione di tempo e che, poco dopo la metà del nostro secolo, la prospettiva dell’energia da fusione diventerà percorribile, naturalmente se i governi continueranno a sostenere con convinzione questi progetti. Basti pensare che il mercato europeo dell’energia assorbe oggi 700 miliardi di euro all’anno.


Mentre alla ricerca energetica, di qualunque tipo, vengono destinati solo 2 miliardi di euro all’anno. Una cifra ben modesta se si considera l’importanza strategica del settore.


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